San Secondo Parmense ha compiuto 150 anni
Giovanni Minghelli Vaini
"deputato di Bettola" e di San Secondo
di Pier Luigi Poldi Allaj
Nei comuni di Pellegrino Parmense, San Secondo Parmense e Sala Baganza le celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia devono necessariamente concludersi nel secondo semestre di quest’anno 2012 per la ricorrenza del 150° anniversario della assunzione di nuova denominazione, giusta il regio decreto n. 878 del 5 ottobre 1862, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n. 252 del 24 ottobre 1862, “in conformità della deliberazione” dei rispettivi Consigli Comunali.
In quell’atto era ricompreso anche Albareto che diventava Albareto di Borgotaro, ma che in anni successivi ritornava all’antica (ed odierna) denominazione. E, per Polesine Parmense, occorrerà aspettare il 24 gennaio 2019, per via del R.D. n. 4854 del 24 gennaio 1869.
Il 1862 segna un primo riassetto politico-amministrativo di un Regno d’Italia ancora incompleto, mancando Roma e buona parte del Lazio, che saranno annesse solo il 20 settembre 1870 con la presa della città, nella quale entrarono Bersaglieri e Fanti attraverso la famosa “breccia di porta Pia”.
E’ giusto ricordare anche quel momento.
Dopo cinque ore di cannoneggiamento
dell'artiglieria del Regno d'Italia, fu fatta brillare una carica posta dai
reali guastatori che provocò il crollo della fortificazione e aprì una breccia
di circa 30 metri nelle Mura, la cosiddetta Breccia di Porta Pia, attraverso la
quale irruppero i bersaglieri e ad altri reparti di fanteria. Nel punto esatto
in cui fu aperta la breccia, una cinquantina di metri ad ovest della porta, è
stato eretto un monumento in marmo e bronzo; di fronte alla porta, al centro del
piazzale di Porta Pia, si trova il Monumento al Bersagliere, opera di Publio
Morbiducci, posto nel 1932.
La Porta Pia è una delle porte che si aprono nelle Mura aureliane di Roma,
divenuta particolarmente nota il 20 settembre 1870, quando il tratto di mura
adiacente la porta fu lo scenario della fine dello Stato Pontificio (vedi: Presa
di Roma). Si tratta di una delle ultime opere di Michelangelo Buonarroti, in cui
l'artista, all'epoca già anziano, utilizzò elementi architettonici ed una
sintassi compositiva particolarmente innovativi.
In questa sede mi riprometto di ampliare i contenuti della lettera inviata alla Gazzetta di Parma nel marzo scorso. Ricordavo che Giuseppe Verdi era stato voluto da Cavour in persona deputato al Parlamento del neonato Regno d’Italia attraverso il collegio, sicuro vincente, di Borgo San Donnino, sottolineando che nessuno, purtroppo, parlava e parla del sansecondino d’adozione comm. avv. Giovanni Minghelli-Vaini, che, per entrare in Parlamento, era stato dirottato nel collegio piacentino di Bettola. E in Parlamento - diversamente da Verdi, che, a detta di molti suoi colleghi, sui banchi si annoiava, e parecchio – il Minghelli-Vaini fu molto attivo.
Or bene, lo scorso anno 2011, anno ufficialmente dedicato alle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità, mi ero posto la domanda se mai qualche illustre concittadino nostro fosse stata parte attiva in maniera eclatante, persona all’infuori ed al di sopra di qualche nota figura popolare, certamente espressione di atti di eroismo personale, ma pur sempre di fama limitata all’àmbito locale, a perenne memoria dei quali San Secondo Parmense volle porre lapidi commemorative nella sede comunale, nel cortiletto d’onore della Rocca prima e, nel 2005, dal sottoscritto vicesindaco pro tempore. fatte ricollocare sulla facciata dell’attuale Municipio.
Ma torniamo al tema della serata ed alla illustrazione della figura del comm. Avv. Giovanni Minghelli Vaini.
La ricerca l’avevo condotta solo attraverso la rete, ed i risultati sono stati, per me, ed anche per gli amici ai quali avevo illustrato la mia “scoperta”, sorprendenti.
Mi ero addirittura divertito a diffondere un indovinello, un quesito che adesso rimbalzo a tutti voi, anche se vi ho già anticipato la risposta, del resto rivelata sabato mattina 2 aprile 2011 in una comunicazione a margine dell’incontro pubblico di celebrazione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, promosso dal Comune di San Secondo Parmense e fortemente voluto dall’allora commissario prefettizio dott. Attilio Ubaldi, comunicazione pure appoggiata a questo sito internet www.cortedeirossi.it
Tracce della sua casa, nei dintorni di San Secondo, dove ha vissuto per vari decenni, sono ancora oggi perfettamente conservate e visibili. Lui è stato un grande personaggio politico del XIX secolo, prim’attore nel processo di unificazione dell’Italia e deputato al Parlamento del neonato Regno d’Italia. E si può ben dire che, attraverso la sua azione, il borgo e la terra di San Secondo abbiano letteralmente cambiato i connotati. Nonostante la indiscussa fama. non è riuscito a trovare una riga di spazio nella Enciclopedia di Parma e nel Dizionario Biografico dei Parmigiani.
La ricerca l’avevo cominciata attraverso la semplicissima stringa “San Secondo Parma”, Scorrendo le pagine dei risultati mi veniva segnalato anche il nome di Giovanni Minghelli Vajni, quale “deputato di Bettola”, ma con vissuti sansecondini.
Il link
rimandava, e rimanda tuttora, a Google Libri e più precisamente ad una pagina del primo volume di un’opera uscita a fascicoli raccolti nel libro
I 450 DEPUTATI DEL PRESENTE E I DEPUTATI DELL'AVVENIRE
per una Società di egregi uomini politici, letterati e giornalisti
diretta da Cletto Arrighi
Volume Primo
MILANO - Presso gli Editori Via del Broglio N. 3 e S. Paolo N. 8
l864
Carlo Righetti, vero nome dell'autore
divenuto famoso come Cletto Arrighi (Milano, 1828 – Milano, 3 novembre 1906), è
stato un giornalista, politico e scrittore italiano, tra i massimi esponenti
della corrente della scapigliatura.
Fin da giovanissimo adottò delle nuove generalità, che costituivano l'anagramma
del suo nome ufficiale. Partecipò alle cinque giornate di Milano nel 1848 e alla
prima guerra di indipendenza, per poi aiutare il Regno di Sardegna come
volontario anche tra il 1859 ed il 1861. Nel 1867 fu eletto deputato su
posizioni radicali, simili a quelle del sinistra mazziniana e garibaldina. Si
dedicò anche, e con profitto, al giornalismo, alla letteratura ed al teatro.
Nel 1860 fondò il giornale Cronaca grigia, che durò fino al 1872 e fu uno dei
periodici che più contribuirono alla diffusione della scapigliatura, arrivando
ad ospitare il dibattito sul verismo. Il romanzo più famoso del Righetti è La
Scapigliatura e il 6 febbraio (1862) in cui, nelle forme del romanzo popolare,
egli dà la definizione di un ceto di scontenti e ribelli, delineando il clima
sociale e politico in cui nasce il movimento scapigliato (che proprio dal titolo
del romanzo finì per trovare la sua denominazione).
Scrisse in seguito numerosi romanzi storici, avventurosi, di intrigo misterioso.
Negli anni Ottanta subì l'influsso di Émile Zola (Nanà a Milano, 1880) e approdò
al romanzo sociale (La canaglia felice, 1885), creando ed organizzando anche
l'opera collettiva Il ventre di Milano. Fisiologia della capitale morale (1888,
il titolo è un'eco dello zoliano Ventre di Parigi; ma la formula aveva avuto
molto successo: anche Matilde Serao aveva scritto già Ventre di Napoli),
collaborandovi con pezzi di analisi sociale.
Fu anche autore di operette comiche teatrali, quasi sempre in dialetto milanese.
Scrisse ben 39 commedie in dialetto, di cui alcune ancora oggi in repertorio
nelle compagnie dialettali (quella di Dario Fo, ad esempio), e fu inoltre
direttore gerente della compagnia del Teatro Milanese in cui recitarono Edoardo
Ferravilla, Gaetano Sbodio, Emma Ivon, Edoardo Giraud. La sua passione per il
milanese lo spinse a confezionare un piccolo ma sostanzioso Dizionario
milanese-italiano pubblicato nel 1896 tra i Manuali Hoepli. Condusse vita
disordinata ("scapigliata" significa proprio questo) resa ancor più precaria
dalla passione per il gioco d'azzardo, che gli fece perdere ingenti somme di
denaro. Morì in miseria, abbandonato da tutti, nel 1906.
In questi giorni, approfondendo le ricerche, sono pure arrivato al portale storico della Camera dei deputati storia.camera.it dove appaiono i dati anagrafici esatti e qualche stringatissima ma essenziale notizia ed una foto tessera, evidentemente ripresa dalla scheda del Museo del Risorgimento. Con un errore sulla attribuzione della sede prefettizia di Vercelli, invece che di Vicenza, e l’elencazione delle sedi non in ordine cronologico, ma casuale.
Scheda Atti Camera
Giovanni Minghelli Vaini
Regno di Sardegna (VII), Regno d'Italia (VIII)
VII Legislatura del Regno di Sardegna
dal 2 aprile 1860 al 17 dicembre 1860
VIII Legislatura del Regno d'Italia
dal 18 febbraio 1861 al 7 settembre 1865
Nato a Modena il 8 maggio 1817
Deceduto a Parma il 7 novembre 1891
Laurea in Giurisprudenza; Avvocato; Prefetto di Lecce; Prefetto di Padova;
Prefetto di Vercelli; Prefetto di Torino; Prefetto di Cagliari; Prefetto di
Catania
Ma torniamo alle dispense biografiche dell’Arrighi ed in particolare alle pagine del deputato Giovanni Minghelli-Vajni che mai più avrei immaginato, oltre che deputato, figura interessantissima per l’attività politico amministrativa svolta nell’arco di una quarantina d’anni della sua non longeva vita.
Dopo una ampia dissertazione sulla questione romana che vedeva il nostro strenuo oppositore del potere temporale del Papa e sulle intrinseche contraddizioni che caratterizzavano il personaggio si passa alla trattazione della vita.
Lo schizzo biografico, datato 24 febbraio 1865 (I,145-154 - III,366-374) mette in luce la discussa personalità dell’uomo, definito sin dalle prime righe “un vero enigma. Liberalissimo, patriota, democratico… pur si dichiara cattolico apostolico e romano, come un uomo educato alla scuola del quietismo e della rassegnazione”. E considerava l’Arrighi: “Forse ci inganniamo; ma un liberale che come il Minghelli si dichiara espressamente fervido seguace del cattolicismo, noi lo crediamo assurdo”.
Basti questo per un sintetico quadro psicologico di una persona, fortemente impegnata sugli allora tanto discussi rapporti fra Stato e Chiesa, in tempi nei quali il Papato estendeva ancora il suo dominio temporale su una bella fetta della penisola italica e la “breccia di Porta Pia”, come si è detto, era ancora di là a venire.
Il nostro, dalle carte, risultava attivissimo in parlamento, diversamente dal più noto deputato parmense Giuseppe Verdi che, anche sui banchi, pensava sempre e solo alla sua arte.
E, più delle mie, credo valgano le testuali parole dell’Arrighi:
“… studiò di legge e si distinse più tardi nell'avvocatura. Stabilitosi in S.
Secondo, nel 1859 fu eletto deputato all'assemblea di Parma, quindi al
Parlamento nazionale.
L' assemblea di Parma ricorda con riconoscenza l'indefesso rappresentante, che
stese la relazione sul prestito nazionale e quella sulla reggenza del principe
di Carignano.
Nel primo Parlamento italiano, durante le due legislature, sedette alla destra,
ammiratore di Cavour. In seguito si accostò al centro sinistro e agli uomini del
terzo partito.
Non è oratore. Ma colla stampa tiene i suoi elettori al corrente della propria
condotta parlamentare, in modo degno d'ogni più grande elogio. Così, dopo aver
votato contro la Convenzione del 15 settembre 1864 [detto per inciso votò contro
il trasferimento della capitale d’Italia da Torino a Firenze], diresse al
collegio di S. Secondo [lapsus freudiano, non esisteva il collegio di San
Secondo] un memorandum per giustificar quel suo voto negativo; e anche questo
scritto, in cui la buona fede traspare, si può considerare come un altro
riassunto degli equivoci che in varie circostanze e in varii modi si sono
manifestati nella quistione romana. Per esempio l’onorevole Minghelli Vaini
riconosce che l'autorità di Stato non deve ingerirsi nelle quistioni religiose;
ma che cosa propone di sostituirvi? L'azione del Comune. Serio pericolo!
Nel 1860 (1862) partecipò alla commissione regia per la riforma del sistema penitenziario italiano. Una sua memoria su questo argomento venne annessa alla relazione dei commissari; e il celebre giureconsulto francese, Vidal, pubblicava a Parigi un opuscolo riguardante questa relazione e i relativi documenti”.
Ancora l’Arrighi aggiungeva che il nostro “coltiva gli studii sociali, sui quali
pubblica sovente importanti risultati.
È scrittore facile e senza sistemi preconcetti. È della scuola eclettica,
tantochè qualche volta i suoi lavori sono un po' confusi e fuorviano dallo
scopo. Si direbbe che il suo cuore oscilli sovente come aperto e sensibile alle
diverse impressioni.
Nel giugno 1863, presentava al Parlamento un progetto di legge relativo alle più
importanti riforme d'Italia, cioè:
La surrogazione del Comune allo Stato in materia religiosa;
La nomina per suffragio popolare delle cariche ecclesiastiche, cominciando dai
diaconi e dai parrochi.
L'incameramento nei comuni di tutti i beni del clero, senza alcuna eccezione”.
Commentava l’Arrighi: “Questo progetto — del quale noi non vorremmo accettato che il secondo articolo, perocchè crediamo gli altri due di probabile danno alla libertà — non si può dire però che non sia radicale”.
Ma la vita di Giovanni Minghelli Vaini non si estrinsecava solo a livello parlamentare, tra il 1859 ed il 1865.
Verso la fine degli anni Cinquanta, prima di andare in Parlamento, era stato anche “sindaco di San Secondo”, come annota il “prevosto in patria” Giuseppe Maria Cavalli a pag. 240 dei suoi “Cenni storici della borgata e Chiesa di San Secondo” (Archivio Parrocchiale di San Secondo, 1870, manoscritto).
Smessa la politica, dopo la seconda legislatura, si dedicò alla vita amministrativa, ricoprendo importanti incarichi, come d’altra parte aveva svolto prima di fare il deputato.
Già nel 1849 era stato nominato Direttore del nuovo penitenziario di Oneglia, poi della casa di pena delle donne e dell'ospizio celtico in Torino.
Nel 1868 veniva fatto Cavaliere del neo istituito Ordine della Corona d'Italia. Conseguiva i titoli di Ufficiale e di Commendatore tra il 1873 ed il 1876.
Sempre nel 1868 veniva promosso da direttore di carcere penitenziario a ispettore centrale delle carceri di 1a classe.
e con tale qualifica, nel 1869, fu chiamato membro della commissione ministeriale d’inchiesta sulle carceri giudiziarie napoletane. Componevano la Commissione: il Presidente Antonio Di Rudinì, Prefetto di Napoli, che nell’ottobre dello stesso anno 1869 sarebbe diventato ministro dell’interno, e, anni dopo Primo Ministro; i membri erano Pirro De Luca, sostituto procuratore generale, Domenico Pisacane, deputato, Giovanni Minghelli Vaini, ispettore centrale delle carceri, Stefano De Maria Casalnuovo, consigliere di Prefettura, relatore. La notizia l’ho desunta dal portale dirittoestoria.it.
Nel 1872 era nominato membro del Comitato nazionale in previsione del CONGRESSO PENITENZIARIO INTERNAZIONALE IN LONDRA, specificandosi che i Comitati nazionali dei singoli Stati “concorreranno a formare il Comitato Internazionale Generale”,
Semprenel 1872 veniva nominato ispettore generale delle carceri di 1a classe nel Ministero dell'interno.
I vari passaggi di carriera sono regolarmente citati sulla Gazzetta Ufficiale del Regno.
In seguito adiva la carriera prefettizia ed in questa veste, a riprova della sua personalità lo ritroviamo in vicende degne di nota, quando non soggetto di aneddoti.
Nominato prefetto di 3a classe era inviato nella sede di Cagliari (8 settembre 1876 - 29 luglio 1878).
Gli capitò di ospitare, per una cena in prefettura, verso la metà dell’ottobre 1877, il prof. Theodor Mommsen (Charlottenburg, 1º novembre 1903), storico, numismatico, giurista epigrafista e studioso tedesco, generalmente considerato il più grande classicista del XIX secolo. Il suo studio della storia romana è ancora di importanza fondamentale nella ricerca contemporanea. Mommsen, probabilmente alticcio, espresse in pubblico giudizi non propriamente consoni alla sua fama, rischiando pure complicazioni diplomatiche.
Veniva, poi, trasferito, sempre con la qualifica di 3a classe, a Torino (29 luglio 1878 - 15 febbraio 1880).
E cruciali, nella sua carriera prefettizia, rimasero gli anni torinesi, dove stava prendendo forma l’importante esperienza educativa di Don Giovanni Bosco. Le profonde convinzioni laicistiche del prefetto, certamente non disgiunte da quelle dei governanti ministeriali, innescarono una diatriba volta addirittura alla chiusura di quelle scuole benemerite, diatriba che alla fine ovviamente si risolse a favore dei salesiani. E nelle cronache si annotò che “non ebbero fortuna gli uomini che la sollevarono. L'onorevole Coppino uscì quasi subito dal Ministero. Il Minghelli Vaini, Prefetto di prima classe a Torino, fu traslocato Prefetto di terza classe a Catania, poi a Lecce e quindi messo a riposo”.
Ad onor del vero la ricostruzione salesiana desunta dalle pagine del portale donboscoland.it, alla luce dei documenti e delle Gazzette Ufficiali, si dimostra esagerata e fuorviante, perché mai, il Minghelli-Vaini, per quanto trasferito al sud, è stato declassato in carriera.
E pure nel Bollettino Salesiano (n. 4 del 1880) si sottolineava il trasferimento “in Sicilia”.
A Torino era prefetto di 3a classe e con tale qualifica assumeva il ruolo di
Prefetto di Catania (15 febbraio 1880 - 30 settembre 1881),
prima di essere destinato, sempre di 3a classe, Prefetto di Lecce (30 settembre 1881 - 25 novembre 1883).
A Lecce Giovanni Minghelli Vaini risulta molto attivo in ambito amministrativo. Una Circolare del Prefetto Minghelli-Vaini del 2 febbraio 1882 chiedeva ai Sindaci della Provincia "di conoscere con precisione quale sia lo stato attuale delle vertenze demaniali in ciascun Comune della provincia" e li invitava a compilare un quadro sintetico di tutte le operazioni demaniali eseguite dal 1806 a tutto dicembre 1881 e le operazioni che si dovevano eseguire dal 1° gennaio 1882. Nel Circondario di Lecce furono fatte quotizzazioni in diversi Comuni.
Diventava, poi, Prefetto di Padova (25 novembre 1883 – 1° aprile 1885).
Compare, in qualità di Regio Prefetto, nella "Procura ad negotia per brevetto" della CONVENZIONE per la concessione della costruzione e dell'esercizio della ferrovia da Camposampiero per Castelfranco a Montebelluna.
A Padova compiva i dieci anni di permanenza nella 3a classe. Conseguita la 2a classe, veniva collocato a disposizione del Ministero (01.04.1885-15.08.1887).
Veniva, infine, nominato prefetto di Vicenza (16 agosto 1887 – 1° gennaio 1891)
prima di cessare dall'incarico il 14-12-1890, come risulta all'albo storico della Prefettura di Vicenza. In Gazzetta Ufficiale ho trovato solo la nomina del successore. decretata in data 25 dicembre 1890, Sul sito archivi.beni.culturali.it risulta essere "collocato definitivamente in aspettativa per ragioni di servizio a far tempo dal 1° gennaio 1891". Restano da chiarire la vicenda e le circostanze.
Nello stesso anno 1891 morte lo coglieva il 7 di novembre.
Rev 1 - 4-11-2012
La data di morte non
corrisponde all'atto ufficiale conservato nell'Archivio Storico del Comune di
Parma. Giovanni Minghelli Vaini risulta essere morto "l’8 novembre anziché il
7", secondo quanto comunica il dott. Roberto Spocci: "Minghelli Vaini immigra a
Parma, da San Secondo, il 1° novembre 1891 e va ad abitare in strada Farini
(palazzo Tirelli) ove muore per “PNEMONITA” alle ore 6 dell’8 novembre".
Ultimo dato riscontrato sulla Gazzetta Ufficiale (la n. 26 del 1° febbraio 1892), la liquidazione di una pensione alla moglie Sarra M.a Anna, vedova di Minghelli Vaini Giovanni, per Iire 1833,33.
Come asseriva l'Arrighi, Giovanni Minghelli Vaini è stato molto attivo in campo editoriale con alcun i libri e numerosi articoli su temi etici, religiosi e sociali. Per tutti valgano alcuni titoli:
L'Individuo, lo stato e la società, ovvero Proposta d'un codice sull'assistenza pubblica (Editore G. Boncompagni, 1868, 825 pagine);
Sopra la riforma penitenziaria e sopra la spesa occorrente per introdurla nel regno d'Italia: studio (Editore Tip. Fodratti, 186?, 293 pagine);
Un appello (con F. Cardon e Martino Beltrani-Scalia) (Editore Tip. Artero e c., 1872, 30 pagine)
Discorsi pronunciati nell'inaugurazione del busto al conte Luigi Cibrario nella Regia università di Torino il 10 novembre 1878 (con Costanzo Rinaudo e Antonio Berti (Editore Stab. tip. eredi Botta, 1879, 30 pagine)
La indipendenza della Chiesa (in Rivista contemporanea, pp. 161-185)
Di Giovanni Minghelli Vaini, in divisa prefettizia, si ha un bel ritratto a olio su tela di cm 136 x 90 eseguito da Cecrope Barilli nel 1889, ora in collezione privata (Tommaso Tomasi, Noceto).
Il comm. Avv. Giovanni Minghelli Vaini è stato un uomo fortemente impegnato nella vita politica e sociale del suo tempo, una persona di cultura sopra la media nel suo tempo.
A conclusione di questo mio intervento lasciatemi gettare sul tavolo un invito ed una riflessione.
L’invito è quello di non dimenticare, pur mancando ancora diversi anni – ma il tempo passa velocemente – non dimenticare i 100 anni dell’acquisizione della Rocca a patrimonio comunale come volle l’allora sindaco Ing. Italo Bernini, genitore del padre costituente prof. Ferdinando. Il rogito, notaio dott. Luigi Bandini, porta la data del 4 maggio 1919. La Rocca venne venduta al Comune di San secondo Parmense da Arata Rosa, ultima erede di casa Minghelli Vaini, per “27.294 mila lire e 77 centesimi” (M.C. Basteri).
La riflessione riguarda la opportunità di rivedere una toponomastica, semplicemente legata ad una banale indicazione geografica, per renderla più consona a fatti o personaggi storici pertinenti per i quali la gente di San Secondo va fiera. In altri luoghi - Castagneto Carducci, Castelvecchio Pascoli, Roncole Verdi, Camnago Volta, Sasso Marconi, Gropello Cairoli, Andorno Micca, tanto per fare qualche nome - questo da tempo è stato fatto. Anche a San Secondo i pretesti storici ed artistci non mancherebbero proprio.
LETTERA ALLA
GAZZETTA DI PARMA
inviata il 15 marzo 2012 - pubblicata il 17 marzo 2012
Gentile direttore,
Lo scorso anno si è celebrato il 150° anniversario dell’Unità d’Italia ed anche Parma e la sua Provincia hanno ricordato quei lontani fatidici momenti e gli illustri uomini che ne sono stati interpreti e protagonisti. Primo fra tutti il cigno di Busseto, Giuseppe Verdi, voluto da Cavour in persona
deputato al Parlamento del neonato Regno d’Italia attraverso il collegio, sicuro vincente, di Borgo San Donnino. Nessuno, purtroppo, ha parlato del sansecondino d’adozione – e pure di fatti e misfatti – avv. Giovanni Minghelli-Vaini: niente, tranne un mio fugace pensiero, a margine del “pubblico incontro” in Rocca, ai primi dell’aprile scorso, promosso dall’allora commissario prefettizio dott. Attilio Ubaldi. Il Minghelli-Vaini, già “indefesso rappresentante” nell’Assemblea di Parma, era entrato in Parlamento dopo essere stato dirottato nel collegio piacentino di Bettola. E in Parlamento - diversamente da Verdi, che, a detta di molti suoi colleghi, sui banchi si annoiava, e parecchio – il Minghelli-Vaini fu molto attivo. Scriveva Cletto Arrighi, autore di biografie di parlamentari: “Nel 1860 partecipò alla commissione régia per la riforma del sistema penitenziario italiano. Una sua memoria su questo argomento venne annessa alla relazione dei commissari; e il celebre giureconsulto francese Vidal pubblicava a Parigi un opuscolo riguardante questa relazione e i relativi documenti”. E ancora: “Nel giugno 1863, presentava al Parlamento un progetto di legge relativo alle più importanti riforme d'Italia, cioè: la surrogazione del Comune allo Stato in materia religiosa; la nomina per suffragio popolare delle cariche ecclesiastiche, cominciando dai diaconi e dai parrochi; l'incameramento nei comuni di tutti i beni del clero, senza alcuna eccezione”. Smessa la politica, nel 1869 lo ritroviamo ispettore generale delle carceri, prima di vederlo adire la carriera prefettizia, praticamente fino alla morte, con alterna fortuna, come la casa che possedette ed abitò in San Secondo, la Rocca dei Rossi.
La premessa era necessaria perché in alcuni Comuni del Parmense le celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia dovrebbero continuare e concludersi, quanto meno, nel secondo semestre di quest’anno 2012. Ricorrerà, infatti, il 150° anniversario della assunzione di nuova denominazione, giusta il regio decreto n. 878 del 5 ottobre 1862, “in conformità della deliberazione” dei rispettivi Consigli Comunali, nei comuni di Pellegrino Parmense, San Secondo Parmense e Sala Baganza. In quell’atto era ricompreso anche Albareto che diventava Albareto di Borgotaro, ma che in anni successivi ritornava all’antica (ed odierna) denominazione. Certamente, stante l’attuale congiuntura, non si potrà, non si dovrà spendere e spandere, ma almeno un piccolo, semplice ricordo dovrebbe essere d’obbligo. Con l’aggiunta di una riflessione sulla opportunità di rivedere una toponomastica, semplicemente legata ad una banale indicazione geografica, per renderla più consona a fatti o personaggi storici pertinenti. Verso oriente, là dove spunta il sole, appena aldilà dell’acqua, il Comune di Canossa, già Ciano d’Enza, insegna.
© Pier Luigi Poldi Allaj 9-10-2012
Rev. 1 - 4-11-2012