"Il mestiere delle armi" di Ermanno Olmi
di Pier Luigi Poldi Allaj

 


Qualche tempo fa, traendo spunto dai successi cinematografici di Ermanno Olmi e del suo film storico "Il mestiere delle armi", avevo riferito del grande legame di Giovanni delle Bande Nere con San Secondo, senza peraltro stigmatizzare pesanti e gravissime omissioni. Non mi sembrava giusto aizzare polemiche e rovinare la festa, anche se il sassolino, prima o poi, dalla scarpa dovevo pur toglierlo.

Il film, realizzato nel 2001, nello stesso anno era stato presentato con successo al Festival di Cannes ed acclamato a livello internazionale, aggiudicandosi nove "David di Donatello": miglior film, miglior regista, migliore sceneggiatura, miglior produttore, miglior fotografia, miglior montaggio, miglior musica, migliori costumi, migliore scenografia. E, meno male che non ne veniva assegnato un decimo per la migliore ricerca storica, perchè qui ho riscontrato qualche problema.

E' acclarato che la vicenda giovannea, illustrata dal regista, traeva spunto dalla lettera n. 4 del primo libro delle "Lettere" di Pietro Aretino, riportando Ermanno Olmi situazioni e momenti che riaffioravano alla mente dell'agonizzante Giovanni, con il ricordo e l'invocazione ad amici e parenti, da Lucantonio Cuppano a Maria Salviati. Ma non tutti hanno avuto l'onore di essere stati ricordati nel film. Ha tralasciato, Ermanno Olmi, quanto meno il nipote, figlio della sorella Bianca Riario, il conte di San Secondo Piermaria de' Rossi. E l'omissione appariva, ed appare tuttora, tanto più grave, se solamente si pensa che al personaggio parmense è direttamente collegata l'ultima volontà testamentaria di Giovanni di affidare a lui le sue Bande Nere.

"Si ricordò del conte di San Secondo, dicendo: Almen fusse egli qui, che gli restarebbe il mio luogo" scriveva Pietro Aretino. E gli faceva eco Giovangirolamo de' Rossi, fratello del conte di San Secondo, storiografo e letterato insigne, vescovo di Pavia e governatore di Roma, nella biografia che divulgava attorno alla metà di quel secolo sedicesimo: "Esso signore le raccomandò nella morte sua al conte Pietromaria Rosso di San Secondo, suo nipote, scrivendo a papa Clemente che non poteva darle più convenevolmente ad altri che a lui, il quale, per essere suo nipote e continovamente nutrito da lui nella guerra, sarebbe da i suoi soldati temuto e amato più d'ogni altro". Ma amaramente, constatazione sdegnata e presentimento crudele, soggiungeva: "Ma a Clemente, poco amorevole senza alcuna ragione della famiglia de' Rossi, parve darle in governo a Bernardino della Barba, vescovo di Casale". Evidentemente Ermanno Olmi si è ricondotto, nelle sue ricerche, a questa ultima, triste considerazione...

       

L'importanza storica del legame di parentela e di affetto tra i Medici ed i Rossi trova entusiasmante riscontro anche nella iconografia cinquecentesca. In Palazzo Vecchio, a Firenze, i cui lavori di restauro sono stati per la massima parte voluti e commissionati dal duca  Cosimo I, figlio di Giovanni, Michele di Ridolfo del Ghirlandaio effigiava, nella sala a lui dedicata, il forte e sfortunato condottiero, proprio nello stesso periodo nel quale Orazio Sammacchini lo ritraeva, per volere del conte Troilo II, nella Rocca di San Secondo, nella sala detta di Adone. Non abbiamo notizia che la stessa cosa sia stata realizzata in altri luoghi.

Una ricerca storica metodologicamente più corretta, assieme ad uno studio più attento delle fonti, avrebbe reso maggiore giustizia al personaggio ed ai luoghi a lui tanto cari. Ed anche a noi... che avremmo tifato per il decimo "David"!

 


Il mestiere delle armi a San Secondo


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