Anno domini 1525

Testo e disegni di Cesare Pezzarossa

 

La stagione era mite, preparai una sacca con un grosso pane, un pezzo di cacio, una zucca piena d’acqua, un coltello e un buon bastone robusto e nodoso. Uscii da Parma, passando a porta Santa Croce dopo aver percorso circa un miglio deviai a destra verso nord lungo la strada che conduce a Cremona. La selva prendeva il posto delle case e il timore mi assaliva; guardavo avanti tra i rami, per scorgere un movimento e ascoltavo attento per indovinare i rumori. Finalmente giunsi alla posta di Viarolo: rinfrancato dal vociare di persone che sotto un pergolato bevevano vino dalle loro coppe, chiesi del portinaio e mi indicarono la via al Taro. Qui sostava un uomo in attesa di clienti da traghettare sulla riva del Grugno; con poche monete passai quel breve tratto di fiume approdando a fianco dell’osteria.

In quel punto la strada proseguiva dritta attraversando boschi e paludi fino al Po, incontrando nel suo percorso il borgo di San Secondo. Lì dovevo consegnare al Signor Marchese un messaggio e man mano che mi avvicinavo all’abitato vedevo sempre più netta Porta Parma con i birri che controllavano il passaggio delle persone e delle merci: sopra l’arco d’accesso spiccava lo stemma dei Rossi, signori di queste terre.

Oltrepassato il portone, la strada proseguiva verso nord ed usciva dalla Porta dei Cappuccini. La Strada grande divideva l’abitato ed era il centro commerciale del paese. La Locanda del Leon d’Oro si affacciava su questa via ed accoglieva il viaggiatore con i tavoli dell’osteria sotto il portico ed un forte odore di cucina che invitava a sostare.

Arrivato nella piazza della chiesa girai a sinistra imboccando la via che conduceva al castello, passai davanti all’oratorio del Santissimo Sacramento, vidi la gente lavorare sull’uscio di casa: tintori, ciabattini, maniscalchi, magnani e canapari. Le osterie erano frequenti e i soldati spegnevano la loro sete in scodelle di fortana.

Dopo un centinaio di passi arrivai davanti alla rocca. Un grande fossato la divideva dal paese ed un rivellino e ponti levatoi difendevano l’entrata al castello. Oltrepassai le porte e mostrai il lasciapassare alle guardie, il comandante mi assegnò una scorta che mi condusse verso gli appartamenti del signore.

Poco più avanti sulla destra vidi l’oratorio del castello dedicato a Santa Caterina , il portone era aperto, si scorgeva sul fondo un altare ed il pavimento era ricoperto di lastre di marmo che chiudevano le tombe dei famigliari del marchese.

Di fronte alla chiesa un voltone conduceva alle lavanderie, al portone di un magazzino ed alle prigioni. Oltre vi erano grandi stalle che chiudevano un grande cortile d’arme dal lato a mezzogiorno.

Sul lato a ponente vi era un grande portico colonnato, con grandi camerate e stanze per i soldati; a levante e tramontana un portico dipinto a finto marmo con in archivolto stemmi araldici. Un loggiato sormontava questa parte ed un cornicione dipinto decorava la sommità della facciata.

Svoltammo per il loggiato a levante con le volte dipinte a pergolato, alla fine del quale si passava in un androne che immetteva nel cortile d’onore.

Qui a piano terra vi era un corpo di guardia, cantine, macellerie e grandi magazzini. Dopo aver consegnato il messaggio ad un servitore attesi sotto il porticato che era sorretto da un lato da grandi colonne, una fascia dipinta con leoni ed anfore circondava il cortile e nei sottarchi dei putti sorreggevano ghirlande. Il servitore tornò dicendomi che non vi era risposta e che il signor marchese mi concedeva di saziarmi nelle sue cucine.

Il servo mi accompagnò. Percorremmo il porticato di tramontana, lì nell’angolo col portico di ponente vicino a un pozzo si apriva la porta della cucina, un grande locale con tanti fornelli, con una porta verso la legnaia da cui garzoni trasportavano la legna per i camini ed una porta verso il cortile della ghiacciaia.

Un buon pasto e vino vigoroso mi diedero le forze, tornai sui miei passi sino alla piazza della chiesa e presi la strada grande verso Cremona .

Appena fuori paese si apriva un grande spiazzo che serviva per il mercato delle bestie e della canapa, ancor più oltre il Convento dei Cappuccini, ultimo lembo dell’abitato che confinava con paludi e boschi.

 

Torna ad "Argomenti"

Torna alla Pagina principale