12 agosto 1530
Atto di capitolazione dell'ultima Repubblica fiorentina
dalla "Storia fiorentina di
Benedetto Varchi",
libro undecimo - cap. cxxxii
I quattro ambasciadori dopo qualche contrasto, e massimamente in chi s'aveva a rimettere la riforma del governo, o nel papa o nell'imperadore, e quanti danari s'avevano a pagare, conchiusero l'accordo. Non volevano ancora, che vi si ponesse quelle parole, Intendendosi sempre che sia conservata la libertà; ma Pierfrancesco, Lorenzo e lacopo dissero, che non potevano convenire altramente, e che quel popolo eleggeva prima d'andar a fil di spada; e Pierfrancesco ebbe parole con messer Bardo, e lo sgridò perché egli separatamente da loro andava favellando a solo a solo, ora col commessario e ora con don Ferrante per acquistarsi la grazia loro, non altrimente ingerendosi, che se in lui fosse stato il tutto rimesso. Tornarono la sera a sei ore di notte co' capitoli, i quali furono approvati agli undici, e a' dodici si stipulò il contratto, il quale m'è paruto di porre tutto di parola a parola:
L'anno 1530, agli 12 del mese d'agosto, nel felicissimo campo cesareo sopra
Firenze nel popolo di Santa Margarita a Montici, e in casa dove risedeva Baccio
Valori commessario del papa, in presenza, di sette testimoni, i quali furono
questi: il conte Piermaria de' Rossi da San Secondo, il signore Alessandro
Vitelli, il signor Pirro Stipicciano da Castel di Piero, il signor Giovambatista
Savello, il signor Marzio Colonna, il signor Giovann'Andrea Castaldo, tutti e
sei colonnelli, e don Federigo d'Uries maestro del campo cesareo; si celebrò il
contratto dell'accordo tra don Ferrante Gonzaga capitano generale de' cavalli
leggieri, e allora governatore dell' esercito cesareo, e Bartolommeo Valori
commessario generale del papa in detto esercito da una parte; e dall'altra
messer Bardo di Giovanni Altuiti, Iacopo di Girolamo Morelli, Lorenzo di Filippo
Strozzi, Pierfrancesco di Folco Portinari, cittadini fiorentini e ambasciadori
eletti a detto governatore e commessario a conchiudere una concordia, ovvero
capitolazione fatta i dì passati tra dette parti, la copia della quale si mandò
a Firenze, e fu approvata da' Signori, Collegi e Ottanta, agli undici di detto,
come appare per mano di messer Salvestro Aldobrandini e ser Niccolò Nelli suo
coaiutore, in presenza d'Iacopo Nardi cancelliere delle tratte de' Signori, e di
ser Francesco da Catignano loro notaio; nel qual contratto ed accordo si
contengono questi infrascritti capitoli, patti e accordi, cioè:
1° Che la forma del governo abbia da ordinarsi e stabilirsi dalla Maestà Cesarea
fra quattro mesi prossimi avvenire, intendendosi sempre che sia conservata la
libertà.
2° Che tutti i sostenuti dentro di Firenze per sospezione o amicizia della casa
de' Medici s'abbiano a liberare, e così tutti gli fuorusciti e banditi per tal
causa sieno subito issofatto restituiti alla patria e beni loro, e gli altri
sostenuti per le medesime cagioni a Pisa, Volterra e altri luoghi, abbiano a
essere liberati, levato l'esercito, e uscito del dominio.
3° Che la città sia obbligata a pagare l'esercito infino alla somma
d'ottantamila scudi, da quaranta in cinquantamila contanti di presente, ed il
restante in tante promesse così della città, come di fuori, fra sei mesi,
acciocché sopra dette promesse si possa trovare il contante, e levare
l'esercito.
4° Che fra due giorni la città sia obbligata consegnare in potere di don
Ferrante tutte quelle persone ch’egli nominerà, cittadini però, o della città,
insino al numero di cinquanta, e quel manco che piacesse a Nostro Signore, le
quali abbiano da stare in suo potere insino sieno adempiute tutte le presenti
convenzioni; e che Pisa e Volterra, e le ròcche e le fortezze loro, e così le
fortezze di Livorno e altre terre e fortezze che sono all'ubbidienza del
presente governo, siano ridotte in potere del governo che s'arà a stabilire da
Sua Maestà.
5° Che il signor Malatesta e 'l signore Stefano abbiano a rinunziare in mano de'
magistrati il giuramento per loro in qualsivoglia modo e tempo prestato di
servire essa città, e giurare in mano di monsignore Balanson gentiluomo della
camera della Maestà Cesarea, di restare con quelle genti che a loro Signorie
parranno nella città, infinochè siano adempiute tutte le presenti convenzioni,
fino al termine de' quattro mesi soprascritti; e ogni volta che sarà loro
comandato in nome di Sua Maestà, debbiano uscire colle genti della città, fatta
però prima la dichiarazione che si contiene nel primo capitolo; volendo però il
signore Stefano essere libero d'andare di detta città ogni volta fosse
necessitato per alcuna sua occorrenza, e restare il signore Malatesta in obbligo
infino all'ultimo.
6° Che qualunque cittadino di che grado o condizione si sia, volendo, possa
andare ad abitare a Roma e in qualsivoglia luogo liberamente, e senza esser
molestato in conto alcuno né in roba, né in persona.
7° Che tutto il dominio e terre acquistate dal felicissimo esercito abbiano a
tornare in potere della città di Firenze.
8° Che l'esercito, subito pagato che sia, s'abbia a levare e marciare fuora del
dominio, e dal canto di Nostro Signore e Sua Maestà si farà ogni provvisione
possibile di pagare detto esercito; e quando non si possa levare fra otto dì, si
promette dar vettovaglie alla città, dopo dati gli ostaggi e seguito il detto
giuramento.
9° Che Nostro Signore, suoi parenti, amici e servitori si scorderanno e
perdoneranno e rimetteranno tutte l'ingiurie in qualunque modo, e useranno con
loro come buoni, e frategli; e Sua Santità mostrerà (come sempre ha fatto) ogni
affezione, pietà e clemenza verso la sua patria e cittadini, e per sicurtà di
quella e dell'altra parte, promettono Sua Santità e Sua Maestà l'osservanza del
soprascritto, ed obbligasi l'illustrissimo signor don Ferrando Gonzaga, e in suo
proprio e privato nome di fare e curare con effetto, che Sua Maestà ratificherà
nel tempo di due mesi la presente capitolazione, e Bartolommeo Valori promette
anco in suo nome proprio, che Sua Santità ratificherà in detto tempo quanto ha
promesso.
10° Che a tutti i sudditi di Sua Maestà e di Sua Santità si farà generale
remissione di tutte le pene in che fossono incorsi per conto di disubbidienza,
dell'essere stati al servizio della città di Firenze nella presente guerra, e si
restituiranno le patrie loro e i beni.
Fu rogato da ser Martino di messer Francesco Agrippa cherico e cittadino
milanese, e da ser Bernardo di messer Giovambatista Gamberelli notaio e
cittadino fiorentino, e l'illustrissimo signore Giovacchino de Ric signor di
Balansone intervenne dopo don Ferrando, per sua Maestà Cesarea. Di tutte queste
convenzioni non solo non ne fu osservata nessuna per la parte di Clemente, ma di
ciascuna (come apparirà di sotto) fu fatto il contrario. Era appena compito di
rogarsi il contratto, quando messer Giovanni di messer Luigi della Stufa,
mandato dal papa con gran fretta, arrivò, e inteso degli ottantamila scudi,
cominciò fortemente a scandalezzarsi, e gridare a testa che il papa non
istarebbe contento a dugentomila; né si dubita, che sé egli fosse giunto un poco
prima, l'accordo, ancoraché conchiuso, o non andava innanzi, o si sarebbe
cresciuta la quantità del danaio.