Ireneo Affò
Memorie degli scrittori e letterati parmigiani
GIAN-GIROLAMO ROSSI
VESCOVO DI PAVIA.
Qui non riprodurrò punto la Vita, ch'io scrissi alquanto diffusamente di questo Prelato, impressa in Parma dal Carmignani l'anno 1785 per la cura presane dall'ornatissimo Signor Tenente Michelangelo Vitali di San Secondo mio singolarissimo amico; ma restringendola in poco, e correggendola in parte, ne dirò solo quanto basta all'intento della presente Opera. Da Troilo Rossi Marchese di San Secondo, e Conte di Berceto, e da Bianca Riaria nipote di Papa Sisto IV uscì Gian-Girolamo, nato in San Secondo il giorno 19 di Giugno del 1505. Confermano l'epoca del suo natale (controverso indarno, come già scrissi) le carte da me posteriormente vedute nell'Archivio della Eccellentissima Casa Rossi in Cremona, le quali dimostranlo tonsurato in Roma nella sua età di anni tredici il giorno 13 di Agosto del 1517 da Monsignor Cesare Riario Patriarca d'Alessandria, ed Arcivescovo di Pisa suo zio materno, e da Papa Leone X, con Breve del giorno 17 dello stesso mese ed anno creato Protonotario Apostolico (1). Fu allora, che l'altro zio materno Raffaele Riario Cardinale di San Giorgio Vescovo Ostiense gli rinunziò la Badia di Chiaravalle della Colomba su la Diocesi di Piacenza, riserbatasi la pensione di due mila ducati.
Ebbe a suo precettore Cristoforo Vandino da Parma, e proseguì poscia gli studj suoi in Bologna, e finalmente in Padova, dove all'eta di venti anni studiò le Leggi civili e canoniche sotto la disciplina di Francesco Burla piacentino, facendosi amare assai dal celebre Pietro Bembo, che in varie sue lettere di que' tempi molto onoratamente parlò di lui. Come però era prontissimo nell'istruirsi, altrettanto era focoso ed ardente nell'intrigarsi spesso in giovanili altercazioni, le quali alcune volte troppa molestia recarongli.
Tornato alla patria, e rimastovi sin a tanto che dopo il sacco di Roma del 1527 potè Clemente VII liberarsi da Castel Sant'Angelo, e rifugiarsi ad Orvieto, stabilì di recarsi ai piedi del Papa, che accoltolo benignamente, calmate le procelle di que' miseri tempi, lo fece Chierico di camera. Ivi si rendette amico di Monsignor Gioanni Guidiccione, colla scorta del quale cominciò a trattare la Poesia toscana, ornamento di ogni animo veramente gentile; e tanto vi approfittò, che diretto poi al Bembo un suo Sonetto, n'ebbe congratulazioni assai cordiali con lettera di quel valoroso Letterato data il giorno 14 di Giugno del 1530: Più caro ancora (diceva egli) mi è stato il vedere voi aver fatto tanto, e sì bel profitto nella Poesia, del quale con voi mi rallegro, e veggio che andate per via di farvi anco da questa parte grandemente chiaro ed illustre (2). Diessi del pari ad altri begli studj, e in particolare a quello delle Medaglie, raccogliendone buona quantità, come ricavasi da' suoi Discorsi.
L'anno 1530 cedendo egli a Giammaria di Monte varj suoi Benefizj ecclesiastici, n'ebbe in cambio con approvazione del Papa il Vescovado di Pavia; laonde come semplice Eletto, giacchè non aveva Ordini sacri, ne prese possesso, destinandovi suo Vicario il Dottor Lodovico Ardizzoni di Reggio.
Elevato alla Pontifical Sede il Cardinale Alessandro Farnese col nome di Paolo III, fu da principio a lui caro, perchè avendolo in Roma lo impiegò in affari di qualche rilevanza, e particolarmente in un'Ambascieria ai Fiorentini dopo la uccisione del Duca Alessandro de' Medici nel 1537, allorchè anche il Papa fu creduto disposto a far che quella Città si riducesse a governo repubblicano. Il Varchi nelle sue Storie così ne parla : Aveva ancora il Papa {non si sa se da sè, o pure pregatone da' Cardinali) mandalo a Firenze Monsignor de' Rossi Vescovo di Pavia cognato del Signor Alessandro (Vitelli) con due Brevi, uno pubblico indiritto allo Stato, e un privato indiritto al Signor Alessandro, il qual Signor Alessandro per non dar sospetto non volle accettarlo privatamente. Ragunato adunque il Consiglio de' Quarantotto, il Vescovo poich'ebbe alla presenza del Signor Cosimo presentato il Breve pubblico, favellò brevemente, stando sempre in su generali, che Sua Santità avendo intesa la morte del Duca si doleva , gli confortava, gli offeriva per l'ufizio della Santissima Sede Apostolica, ed altre cose così fatte. Matteo Strozzi, a cui fu commesso, gli rispose generalmente , accettando in nome di tutti, ringraziando, lodando, e promettendo. Allora Monsignore presentò com'erano convenuti, il suo Breve al Signor Alessandro, ed egli lo diede al Cancelliere de' Consiglieri, che lo leggesse forte, e volgarmente. La sustanza del Breve era questa, che lo confortava, a voler esser autore dell'unione di quella Città, e portandosi in modo, che dese buon odore dì sè e s'acquistasse merito e laude appresso Dio, e appresso gli uomini: alle quali parole il Signor Alessandro anzi alterato che no disse: Questi Signori sanno, che io non ho mancato mai di far tutti i buoni uffizj, e che io ho obbligata la fede mia di non uscir mai della voglia di lor Signorie, e mai da real soldato per l'innanzi non uscirò. Fu chi ebbe caro assai quest'impromessa fatta così pubblicamente, e affermata con tanta efficacia, ma sogliono molte volte prometter più coloro, che vogliono attender meno. Matteo tagliò le parole ringraziando la buona volontà del Papa, e del Vescovo, e lodando il valore e la fede del Signor Alessandro. Fu da molti biasimato il Vescovo, e ripreso come ingrato, e sconoscente del benefizio fatto già dal Signor Giovanni (de' Medici) a luì, e a tutta la famiglia de' Rossi, e la Signora Maria (vedova di Gioanni de' Medici, e madre del Duca ucciso) rimproverandogliele gli disse quel che dipìnto non si sarebbe: ma l'agonia, ch'egli aveva d'essar fatto Cardinale fino a quel tempo, benchè in vano, gli tolse sempre ogni buon conoscimento, tanto può sempre l'ambizione dovunque ell'entra una volta (3) .
Ma se il Prelato in quell'Ambascierìa altro non fece se non quanto aveva ordine di fare dal Papa, io non veggo perchè dovesse meritar biasimo: conciossiachè potea benissimo aver per sè stesso buona volonta verso Cosimo figliuolo di Gioanni de' Medici, da cui il Varchi dice beneficata la Casa Rossi; ma non ostante secondo le istruzioni essere astretto a procurare la liberta de' Fiorentini per parte del Papa, o almeno a fìngere in quelle critiche circostanze di bramarla. Infatti comechè fatto avesse il Vescovo tali parti, non lasciò mai in appresso Cosimo fatto Duca di proteggerlo, e di amarlo. Ne costa altronde che fin d'allora fosse tormentato dall'ambizione di essere Cardinale, come il Varchi per conghiettura si finge; perchè se avesse avuto questi pensieri sarebbesi nelle posteriori azioni sue regolato in maniere più caute.
Mentre adunque godeva egli il favore del Papa avvenne, che il suo fratello Giulio Conte di Cajazzo l'anno 1539, rapitasi Maddalena Sanseverina, occupò a forza nel Parmigiano il Castello di Colorno. Di tale attentato credettesi consigliero e partecipe il Vescovo, il quale fu trattenuto prigione in Castel Sant'Angelo, dove trovandosi a un tempo il valoroso artefice Benvenuto Cellini assai mal trattato, riscosse da lui molta compassione e favore, come lasciò memoria nella sua propria Vita, che abbiamo alle stampe. Volò a Roma in tale circostanza Ettore suo fratello Abate di San Pietro in Ciel d'oro di Pavia, e per tre anni continui fece opera di difenderlo, e liberarlo (4).
Intanto, benchè Colorno fosse rilasciato, avvenne, che imprigionati in Parma per cagion de' Processi alcuni familiari de' Rossi, tratte furono di bocca a Marcantonio Pizzo da San Secondo, e al Capitano Alfonso Mazza diverse accuse di Gian-Girolamo, ed erano, che fosse già complice della uccisione di Fantino Rampini da Piacenza, accaduta in Venezia nel 1521; che col Conte Beltrando suo fratello, già morto in guerra sotto Valmontone, avesse fatto avvelenare in Parma nel 1527 Monsignor Bernardo Rossi Vescovo di Trivigi; e che avesse fatto ammazzare in Rozzasco sul Pavese il Conte Alessandro Langosco nel 1534 per certe controversie, che seco aveva. Ed ecco contro di lui alzarsi una fiera burrasca, a sottrarlo da cui si affaticarono a lungo il Bembo, il Cardinal Ercole Gonzaga, e i suoi molto affezionati fratelli. Compiuti i Processi, prese a difenderlo il celebre Giureconsulto Egidio Bossi (5); e tanto si fece, che il Papa calmatosi alquanto gli cangiò nel 1541 la carcere di Roma nella relegazione a Città di Castello, acciò vivere ivi potesse meno disagiatamente presso Angela sua sorella moglie di Alessandro Vitelli. Non gli furono però ancora restituite le sequestrate rendite del Vescovado e della Badia di Chiaravalle; perchè le prime erano state di nuovo date a Giammaria di Monte fatto Cardinale, e le seconde godevale il mentovato Alessandro Vitelli. Ottenuto il permesso di liberamente vagare per lo Stato del Papa, fuorchè a Parma e a Piacenza, e anche di portarsi a Venezia, e a Ferrara, cominciò a ricreare alquanto l'animo dalle disgrazie abbattuto. Dopo essere stato in forse sul darsi alla servitù dell'Imperadore, o del Re di Francia, e conosciuto pericoloso a' suoi vantaggi l'uno e l'altro, si pose sotto la protezione di Cosimo de' Medici Duca di Firenze, per la cui mediazione venne col Vitelli a certe convenzioni circa l'entrate della Badia. Volle poi fare un viaggio a Parigi nel 1545, dove trovò il suo beneficato Cellini, che gli fu grato di un comodo alloggio. Contrasse ivi amicizia con Luigi Alamanni, col Regio Consigliere Antonio le-Masson, e prese a lodar il Re con Sonetti, tentando cosi la fortuna; ma conoscendo di lusingarsene indarno, tornò in Italia, menando una vita sempre agitata e tormentosa.
Fu assai dolente nel 1547 della morte del Cardinal Bembo, la cui perdita non contento di piangere con varie Rime, eccitò i migliori Poeti di allora al medesimo uffizio: laonde per lui videsi fatta una Raccolta di Componimenti di diversi, che mandavasi attorno, affinchè ognuno ve ne aggiugnesse, come apprendiamo da una lettera di Remigio fiorentino al nostro Prelato, allorchè ad esso pure mandò il volume. Mi sono state carissime (scriveva egli) le composizioni mandatemi, fatte in morte del Cardinal Bembo, e le ho lette con mia grandissima satisfazione, et era forza che mi satisfacessero, uscendo da più belli intelletti d'Italia. Ben mi son maravigliato, che Vostra Signoria Beverendissima voglia ch'io entri in giostra con cavalieri tanto gagliardi, essendo poco più che mezzo huomo, e ch'io Rana gracchi con tante Sirene. Questa Raccolta fu poi impressa in-8.° senza data di luogo e di anno con titolo di Epigrammi latini, et Sonetti volgari, et altre Compositioni di diversi Autori raccolte insieme, e fatte sopra la Morte del Cardinal Bembo; e non riman dubbio, che non sia un tributo pagato dal Rossi alla memoria di un tanto amico.
Sdegnato col Papa troppo contro di lui aspro, e con tutta la casa Farnese, sentì con giubilo trucidato nello stess'anno il Duca Pier-Luigi, ed occupata Piacenza dal suo amicissimo Don Ferrante Gonzaga colle armi di Carlo V. Volossene a lui, e ciò che non avea potuto ricuperare dal Papa, ebbelo colla forza, di cui il Gonzaga gli fu cortese , mettendolo al possesso della usurpata Badia di Chiaravalle, e in buona parte de' Feudi del Vescovado di Pavia. Bramoso di vendicar le onte sue, e quelle della Famiglia, eccitò Giulio suo fratello, e Troilo suo nipote a servir l'Imperadore contro i Farnesi; e tali trame furono per essi ordite in Parma, che fu in pericolo di essere data per tradimento essa pure in balìa delle armi spagnuole, se pronto rimedio non si apprestava col mettervi a custodia Cammillo Orsino. Due calde liti gli si mossero in Roma, cioè dal Cardinal di Monte, che il Vescovado godevasi, e da Alessandro Vitelli cognato suo, cui era stata ceduta dal Pontefice la Badia; ma non curando i costoro richiami procedeva oltre con animo altiero, tranquillo soltanto in questo di vedere struggersi di rabbia i suoi nemici. Tutto il veleno però, che tenea chiuso nel cuore, vibrollo a un tratto in un Sonetto amarissimo, allorchè intese accaduta nel Novembre del 1549 la morte di Paolo III.
Spento è l'antico
orrendo atro Serpente
Di Lerna, e seco son spenti i Giganti,
Gli Antropofagi, e Lestrigoni, e quanti
Per esca usar già mai l'umana gente.
De' Regni bui
spento è quel gran Reggente,
Cui furie atroci erano sempre astanti,
E i Dionigi, e Polifemo, e tanti
Ciclopi, e Arpie a depredarci intente.
Spento è l'empio
Diomede, quella fera,
Che nel gran laberinto avea dimora,
E copria il rio con sue larve mentite;
E Falari, e
Agatocle,
e quell'altera
Medusa, e Polinnestore, e in un'ora
Cerbero, e 'l Regno, e la Città di Dite.
Apertosi il Conclave non tralasciò di maneggiarsi acciò chiunque riuscisse Papa dovesse essergli favorevole; ne mancò il Cardinal Ercole Gonzaga, impegnato da Don Ferrante suo fratello, di preparar gli animi di varj a suo favore, benchè l'affare assai difficile apparisse a cagione che tutti i Benefizj di Gian-Girolamo erano gia stati conferiti ad altri, e vi correva di mezzo l'interesse di molti che impegnati vi erano di pensioni. Divenne Pontefice quello stesso Cardinal di Monte, che seco era in lite pel Vescovado di Pavia, appellandosi Giulio III, e fu per lui ciò vantaggioso, perchè, volendo incominciar egli a dar saggio del suo governo colla clemenza, sperar gli fece in breve il ristoro di tanti sofferti affanni; onde dopo alquante discussioni liberalmente lo ripose in possesso del Vescovado, compiacendo, come notò l'Adriani, a Don Ferrante, ed al Cardinal Ercole, i quali glielo impetrarono (6).
Recatosi a Roma per notificare al Pontefice la sua gratitudine, incontrò grazia presso di lui; ed accadendo, che per la ribellione del Duca Ottavio Farnese ebbe il Papa a collegarsi con Carlo V, portando a Parma la guerra, trionfando il partito antifarnesiano, esaltò il nostro Rossi alla carica di Governatore di quell'alma Città con piacere di tutti i buoni, e spezialmente di Monsignor Paolo Giovio, che il penultimo giorno di Novembre del 1551 scrivendogli da Pisa gli disse : Io scrissi bene a V. S. stando quella in Milano nella creatione di Papa Giulio ch'io le augurava ogni bene, et accrescimento d'honore, profetando non senza ragione. Per il che mi congratulo del nuovo titolo AImae Urbis ec. perchè è proprio il Diaconato della Porpora, la quale non può mancare a V. S. per quarantaquattro capi (7). In tal carica, dice il Carrari, si portò con sì piacevoli ed incorrotti costumi, che per ciò era gratissimo al Papa, ed a molti Cardinali (8). Non lo amavano però i Cardinali Farnesi, che durante la vita di Giulio III, per se stessi, e col mezzo de' partigiani della Corona di Francia tutta l'arte, e tutti gli sforzi impiegarono acciò non fosse promosso alla Porpora; siccome appoggiato a Lettere inedite di Annibal Caro feci nella Vita del nostro Rossi vedere (9). Dice tuttavia Federigo Rossi suo nipote nell'Elogio formatogli mentre ancora viveva, che se non accadeva la morte del Papa sì presto nel 1555, avrebbe certamente ricevuto tal onore: Ad purpurei galeri honorem jam designabatur, ni intempestiva mors Pontificis illius dignitati obstitisset (10).
Perduta colla morte del Papa la speranza della Porpora, cominciò a ravvedersi del tempo inutilmente gittato dietro le vanità mondane; e sembra, che allora dettasse quel patetico suo Sonetto:
Signor, che
tempri, e reggi l'universo,
E vedi aperto ciò che altrui si serra,
Dopo sì lunga e perigliosa guerra,
Ne la qual fui solo a me stesso avverso;
Ricorro a te di
lagrime cosperso
Con le man giunte, e le ginocchia a terra,
Chiedendo pur, com'uom, che sovente erra,
Mercede in quel che fui da te diverso.
In te solo ho
speranza,
che ogni offesa
Perdoni a l'alma, che al disio fallace
Ubbidì allor, che dovea far contesa.
Fa vera in me tu
Redentor verace
La tua parola di pietate accesa,
Che morte no, ma conversion ti piace.
Altri ne scrisse al suo compatriota Giacopo Marmitta ridondanti vera e salda pieta; e frutto del suo disinganno fu il ritirarsi dallo strepito cortigianesco per vivere privatamente in Toscana. Ne' suoi Discorsi e Ragionamenti palesò poi quanta pace recassegli il nuovo tenor di vita con dire: Essendo io Prete, et salvatomi per gran miracolo di Dio dalle ingorde mani del Fisco Romano, e dall'immensa forza dell'ambizione, et datomi alla quiete, et agli studi humani et piacevoli, dir non potrei quanto io rimanghi consolato d'essermi ridotto in Toscana alle mie ville, et a vita tranquilla e quieta. Il prelodato suo nipote Federigo, ch'ebbe da lui nel predetto anno 1555 la rinunzia della Badia di Chiaravalle, più chiaramente ci narra quali fossero i veri sentimenti del buon zio ritiratosi in Toscana presso Cosimo II de' Medici. Ammisso igitur tam benigno perhumanoque Principe (Julio III) Jo: Hieronymus ad id potissimum animum adhibuit, ut posthabitis aulicis illecebris litterarum studiis vacans, illam vitam viveret, quae nullas in se contineret molestias. Concessit iccirco Florentiam lepidissimis ingeniìs, et liberali Principe litterarumque alumno Civitatem profecto florentem, ubi Cosmi summi et veteris Familiae Rosciae patroni gratiam adeptus, ita ut in arduis, maximisque rebus ejus utatur Consilio, quicquid otii nanciscitur, id totum ad studia convertat eoque quietiore animi tranquillitate, quod Hypolitum ex fratre Petro Maria nepotem adolescentem omnibus liberalibus artibus, et praesertim Philosophia imbutum, in Epìscopatus administratione sibi collegam, et successorem nuperrime delegerit.
Gli fu gravoso, che per le insorte rotture tra il Pontefice Paolo IV e il Re di Spagna Filippo II gli venissero sospesi, e poscia tolti gli assegnamenti che a reintegrazion de' suoi danni erangli stati fatti dal morto Papa sopra la Collettoria di Spagna: ma avvezzo alle sventure tollerò anche questa, sollevando sè stesso collo studio, colla caccia, e colla conversazione degli uomini dotti, che assai amava. Di tal vita innamorato non seppe distogliersene, allorchè lo zelo di San Pio V chiamò ai loro Vescovadi tutti i Pastori, che ne viveano lontani. Egli s'indusse piuttosto a rinunziare la Mitra al nipote Ippolito Rossi, che fu poi Cardinale; e stettesi in Toscana allevando onoratamente i suoi nipoti Sigismondo e Ferrante, figliuoli di PierMaria, al primo de' quali, stando in Prato, il giorno 4 di Settembre del 1562 donò certi suoi beni comprati dal Comune di Montemurlo, ed altri sul Lucchese, e sul Napoletano. Ma infermatosi in Prato nel mese di Agosto del 1564, dopo quindici giorni di malattia, soffocato dal catarro terminò la sua vita. Una lettera de' nipoti del giorno 7 di Aprile al Conte Troilo Rossi di San Secondo ce ne rende sicuri: II povero Signore morì l'altro jeri alle 8 hore affogato da un bestialissimo catarro dopo d'essere stato infermo XV giorni con una febre interna. Il corpo suo si è dipositato con quello honore che si richiedeva in Santa Trinità, una di queste Chiese di Prato.
Celebrandolo il nepote, aggiugne ai pregi dell'animo suo anche quello di essere stato di bella e maestosa persona, dicendolo et staturae praestantia habituque oris et membrorum amplitudine formosus, multiplicique bonarum artium eruditione, et juris civilis scientia instructus. Amò grandemente gli uomini valorosi, e fu riamato da essi. Furono tra questi Monsignor Matteo Giberti, Monsignor Ippolito Capilupi, Monsignor della Casa, il Bembo, il Guidiccione, il Marmitta, l'Alamanni, il Rainieri, il Vivaldi, il Bargeo, il nostro Giorgio Anselmi, che lo celebrò ancora giovane, ed il Varchi, che se in Poesia gli corrispose da amico, tale non fu nelle Storie, avendolo tacciato d'ingratitudiue verso la Casa de' Medici; ma poco ragionevolmente. Ebbe ingegno assai bello, e nella Poesìa volgare, in cui molto valse, fu buon petrarchesco. Le Rime sue, spezialmente amorose, spirano tutta la gravita, e la grazia insieme del Petrarca, da cui si veggono eziandio tolti alcune volte i pensieri ingegnosamente imitati, e possono bene aver luogo tra le più colte di quell'aureo secolo.
OPERE.
I. Rime di M. Giovan Girolamo de' Rossi. In Bologna 1711 per Costantino Pisani, in-12. Il Dottor Pier-Francesco Bottazzoni bolognese ottenuto avendo questo Canzoniere a penna dal Dottor Enea Antonio Bonini, compiacquesi di pubblicarlo dedicandolo agli Accademici Difettuosi, e premettendovi le notizie del Poeta. Gli Autori del Giornale de' Letterati d'Italia lodarono il buon consiglio del Bottazzoni, riprodussero più esatte le memorie della Vita del Rossi, e diedero favorevolissimo giudizio di queste Rime (11), commendate del pari dai Giornalisti di Trévoux. Corrisponde questa edizione al codice cartaceo coevo all' Autore, conservato nella Biblioteca Reale di Parma, avendo il codice questo di più, che in molti luoghi si accennano i nomi di alcuni, cui sono diretti certi componimenti, i quali si tacciono nella stampa.
II. Rime inedite. Leggonsi in un Manoscritto membranaceo di tutte le Poesie dell'Autore, già posseduto da Apostolo Zeno, ricordato dal Quadrio, e conservato nella Biblioteca de' Padri Domenicani alle Zattere di Venezia. Sono quivi in assai maggior copia che nelle stampe, mentre dove il numero de' Sonetti impressi avanza di poco il centesimo, giunge in questo codice sino al 176. Ciò che più interessa sono molte correzioni, e pentimenti segnati nel margine; lo che fa conoscere essere stato questo il codice, su cui l'autore desiderato avrebbe l'edizione de' suoi poetici componimenti. Devo queste notizie, ed altre, di cui parlai nella Vita del Rossi, all'eruditissimo Padre Maestro Domenico Maria Pellegrini Bibliotecario nell'accennato Convento delle Zattere.
III. Discorsi e Ragionamenti dell' Illustrissimo e Molto Reverendo Monsignore lo Vescovo di Pavia fatti in quattro Dialoghi, dove intervengono il Signor Don Ferrante Gonzaga, il Marchese di Marignano, il Signor Pirro Colonna, il Signor Lodovico Vistarino, e l'Autore. Manoscritto in-foglio nella Biblioteca Vaticana tra i codici Ottoboniani N. 2213. Letto avendo io questo volume scritto ad inchiesta di Don Ferrante, e a lui diretto, vi ho trovato discussi molti punti relativi all'Arte della Guerra, e al dover de' Soldati e de' Capitani, con varie ricerche politiche. Vi s'incontrano molti biasimi di Niccolò Macchiavello, ed una lunga confutazione del Suicidio.
IV. Discorso della Guerra contro Turchi. Si accenna come cosa già scritta dall'Autore ne' Discorsi e Ragionamenti indicati.
V. Discorso sopra le Medaglie. Ivi pure si fa menzione di tal fatica con simili parole: Burlassi poi il Marchese di me, che io havessi speso tanto, come diceva, in Medaglie antiche, e dimandommi che utilità ne pigliava, lodando più il batter delli Scudi, che delle Medaglie se non erano d'oro, e d'argento. Io gli risposi (soggiunse) che questa non era dimanda da soddisfare sì agevolmente; ma che vedesse un mio Discorso fatto sopra ciò, et perchè cagione gli antichi ponessero tanta cura in ciò, e con che ragione negli rovesci di esse facessero la Prudenza, la Fortuna, l'onorata Vittoria, e simili altre Figure: continuando a dire aver egli più dalle Medaglie, che dalle Storie imparato.
VI. Vita di Gioanni de' Medici. Citasi da Scipione Ammirato, ove dice: Io trovo scritto nella Vita di lui, qual compose Gio: Girolamo de' Rossi Vescovo di Pavia ec. (12).
VII. Le Vite di molti uomini illustri tralasciate dagli Autori antichi e moderni con altre Istorie.
VIII. Degli Usi antichi e moderni libro bellissimo.
IX. Cento Dubbj teologici di materie esquisite e recondite, elegantemente sciolti ed esplicati.
X. Poesie latine. Di queste Vite, Usi, dubbj,e Poesie latine fa menzione Vincenzio Carrari nella sua Storia de' Rossi, il quale come autore di quel secolo, e molto informato, degno si reputa di tutta la fede.
-------------------------------------------------
(1) Io errai dunque nella Vita del Rossi, credendo che il Protonotario de' Rossi, di cui parla Paride Grassi ne' Diarj cerimoniali all'anno 1515, fosse il nostro Gian-Girolamo. Quegli era Ettore suo maggior fratello, che dallo zio materno Cesare Riario Abate di San Pietro in Ciel d'oro di Pavia, e da Papa Leone X ebbe nel 1518 la Coadjutorìa di tal Badia, ottenuta poi immediatamente da Paolo III, e rinunciata a Federigo Rossi suo nipote nel 1546.
(2) Lettere del Bembo vol. I lib. x.
(3) Istor. Fiorr. lib. iv, pag. 607.
(4) Questa notizia si ha dagli Elogj latini de' Rossi, opera inedita di Federigo Rossi nipote del nostro Vescovo, e di Ettore, a me ignota quando scrissi la Vita di Gian-Giro lamo.
(5) Pract. et Tract. Crimin. tit. De Mandato ad homicid. n. 41 ec.
(6) Istoria de' suoi tempi lib. viii al 1550.
(7) Lettere del Giovio carte 60.
(8) Istoria de' Rossi di Parma carte 219.
(9) Tali Lettere sono ancora inedite, e appartengono all'anno 1553, dirette al Cardinale Alessandro Farnese, e stanno in un codice dell'Eminentissimo signor Cardinale Zelada, di cui vidi copia in Roma presso il valoroso Abate Pier-Antonio Serassi di chiara memoria. In una di esse, che è del 2 di Settembre, diceva: L'Amico, cioè il Rossi, era venuto a tanto, che jeri fu tenuto per Cardinale per tutta Roma, e fino alle 4 ore di notte semo stati tutti con questo batticuore. Ma ci s'è fatto tanto, e da tutti è ben voluto, che questa mattina siamo sicuri che non sarà. In altra del dì stesso scrisse:Il Governatore ebbe la vescica tanto più segnalata, quanto era più gonfia. Sant'Angelo (cioè il Cardinal Ranuccio Farnese ), e gli Amici ci hanno fatto il dovere ec.
(10) Gli Elogj latini della Famiglia Rossi già citati furono appunto al nostro Vescovo dall'autor suo dedicati, e sono inediti.
(11) Giorn. de Letterati tomo xi, pag. 108.
(12) Istor. Fior, parte ii, lib. xxx, pag. 363.