Siamo a San Secondo Parmense, comune
di circa 5 mila abitanti, nato attorno a Castello e
antica Corte tra nobili, contadini e abili norcini. Ai
giorni nostri, centro soprattutto di attività terziarie,
di servizi.
Davanti a noi Sindaco e Vicesindaco:
Roberto Bernardini, giovane, dinamico, stretto al
telefonino che non gli concede pause e Pier Luigi Poldi
Allaj, aria professorale ma informale, da studioso, col
quale il discorso scorre tra storia e attualità.
Da sinistra: il vice Sindaco di San Secondo, Pier
Luigi Poldi Allaj, storico locale;
il Sindaco, Roberto Bernardini; Franco Ferrari, nostro
collaboratore.
Oggetto del conversare, la specialità
locale, la Spalla appunto di San Secondo, un insaccato
di selezionata carne suina, lavorata e aromatizzata con
sapienza e fantasia, legata a mano e messa a maturare o
avviata a cottura.
Spalla cruda o cotta dunque che sia,
comunque una bontà. Oggi per lo più la si trova e la si
consuma cotta e tale viene accolta, con favore
indiscusso e convinto, in zona e fuori. è un fiore
all’occhiello che risale ai tempi remoti del primo
medioevo e ancor prima. Certificazioni e pergamene lo
documentano ufficialmente nel primo secolo dopo il
mille. Prodotto quindi plurisecolare, con pochi
cambiamenti e tanta fedeltà allo scorrere del tempo,
perché la manifattura delle origini è sostanzialmente
valida tuttora. Anche in piena era industriale la
ricetta è più o meno la stessa.
L’incontro in Municipio, tuttavia,
non è solo per ricordare le qualità indiscutibili della
Spalla, ma per dimostrare pure come San Secondo abbia
titolo per rivendicarne nome e primogenitura sulla base
di un rogito, datato 8 febbraio 1170, in cui lo si
riconosce ufficialmente quale produttore originario e
più importante.
Battendo in tal guisa la concorrenza
di altri centri limitrofi che pare non vantino date
precedenti e neppure, stando agli atti notarili
conosciuti, attestati pari o superiori in fatto di
quantità prodotte.
Il rogito dunque di San Secondo, come
afferma e come ha scritto Allaj, "… redatto di domenica,
di fronte al popolo uscito da messa, con pubblici
giuramenti di tutti gli interessati, diversamente
insomma da quanto avvenuto a Pizzo e a Palasone dove il
cerimoniale fu meno solenne e in giorno feriale…" è
quello che fa fede e attribuisce, carte alla mano, a San
Secondo la paternità storica della famosa Spalla.
Emanuele Cavalli, il principe produttore di San
Secondo.
A questo punto l’Amministrazione
vorrebbe andar oltre e costituire un Consorzio invitando
all’adesione i produttori della Bassa parmense ed
eventualmente anche quelli dell’Alta, purché chiaramente
disponibili a riconoscere e ad accettare le normative
previste dal disciplinare.
Che comunque non dovrebbe sollevare
particolare problemi o richiedere significativi
cambiamenti nelle ricette e nei processi produttivi fin
qui seguiti. Conterrà infatti la semplice, sommaria,
seppur fedele descrizione di come debba essere fatta la
Spalla per potersi chiamare di San Secondo e godersi
così in futuro una meritevole Dop o Igp.
Il marchio è già registrato, occorre
ora avviare il Consorzio, cosa non sempre facile, perché
come sostengono i nostri interlocutori ci sono
situazioni da armonizzare, piccole gelosie,
individualità che rendono difficile lo stare in gruppo
e, per quanto non rilevanti, anche costi da sostenere,
perlomeno in partenza.
Ma la volontà di fare non manca. I
vantaggi in prospettiva sono del resto intuibili e
legati sia ad una più estesa valorizzazione della
"Spalla" che ad una sua maggior promozione attraverso
pubblicità ed eventi. Ne potrebbe derivare una spinta
più che sensibile all’economia di un territorio
comprensivo di vari Comuni.
E che l’iniziativa possa essere
valida ce lo conferma dal suo Laboratorio, dove prepara
squisite Spalle già tutte prenotate da clienti super
affezionati, Emanuele Cavalli che di questo prodotto è
protagonista, come lo fu per anni il padre.
"Si tratta però di mettere d’accordo
enti e produttori" dice. "E il primo passo sarebbe
proprio la costituzione di un Consorzio per dare impulso
al consumo, al commercio, al turismo gastronomico e
artistico, quest’ultimo già avviato grazie alla Rocca e
al Castello, coi loro affreschi, la loro storia".
Si vedrà. Le potenzialità del
prodotto, osserva il Sindaco, non sono certo
trascurabili. Vantano testimoni a livello regionale e
nazionale e ogni anno durante la grande Fiera d’Agosto
si moltiplicano i consensi.
"Sarebbe bello — è l’augurio di Allaj
— poter festeggiare nell’edizione di quest’anno la
nascita del Consorzio, assaggiando Spalla e bevendo
Fortanina, il rosso locale che si sposa così bene con
questo prelibato frutto della nostra salumeria".
E l’augurio è anche il nostro. Come
cronisti, e come estimatori, della Spalla di San Secondo
ne seguiremo fiduciosi il cammino e, perché no, il
successo!
Franco Ferrari
Giuseppe Verdi, grande buongustaio dei prodotti
tipici della sua terra.
Verdi insegnava a
cuocerla
Verdi era un appassionato della
spalla di San Secondo. Egli aveva cercato anche di
comperare la Rocca di San Secondo per erigervi la Casa
di Riposo per musicisti, e, da una sua lettera al Conte
Arrivabene, abbiamo questa frase: "Io non diventerò
feudatario della Rocca di S. Secondo, ma posso benissimo
mandarti una spalletta di quel santo". La lettera è del
27 aprile del 1872 e prosegue: "Anzi te l’ho già spedita
stamattina per ferrovia. Quantunque la stagione sia un
po’ avanzata, spero la troverai buona. Devi però
mangiarla subito prima che arrivi il caldo. Sai tu come
va cucinata? Prima di metterla al fuoco bisogna levarla
di sale, cioè lasciarla due ore nell’acqua tiepida. Dopo
si mette al fuoco dentro un recipiente che contenga
molta acqua. Deve bollire a fuoco lento per sei ore, poi
la lascierai raffreddare nel suo brodo. Fredda che sia,
ossia 14 ore dopo, levarla dalla pentola, asciugarla e
mangiarla...". Dopo alcuni cenni all’Aida, Verdi torna
da capo: "Dunque occupati ora della spalletta e sappimi
dire come l’hai trovata".
Che a Verdi piacessero molto le
spalle di San Secondo ce lo attesta anche Italo Pizzi
nelle sue "Memorie Verdiane", nelle quali afferma che
Verdi sin da giovane soleva recarsi a San Secondo a
mangiarne in casa di un amico, tornando poi alle Roncole
ancora in carrozza con un superbo gallo a cassetta... Ma
molte altre volte troviamo in altri documenti dei cenni
a questo squisito prodotto del Parmense, per cui vale la
pena di seguire i volumi biografici di Franco Abbiati
per trarne tutti quei cenni che servono a dimostrare la
preferenza di Verdi per questo rinomato prodotto.
Emanuele Muzio, il fedele discepolo di Giuseppe Verdi,
scriveva così dopo avere effettuato una sfacchinata a
Firenze: "Viaggio felice nell’andata e felicissimo nel
ritorno poiché il salame e le spalle sono passati
trionfanti in mezzo a tutti i gabellieri...". L’Abbiati
fa notare come Verdi che è a Firenze per preparare il "Macbeth",
si interessa molto del salume, della spalla, e poco
dell’opera trovandosi in un periodo di svogliatezza. Il
18 maggio 1843, scrivendo da Parma a Luigi Toccagni,
Verdi, dopo mille saluti ad amici e amici degli amici,
aggiunge: "Porterò meco la spalletta di San Secondo...".
Durante la preparazione del "Falstaff", nato a grande
stento in molte delle sue parti, ai primi di ottobre del
1892 Boito e Giulio Ricordi si portarono a Sant’Agata
con un teatrino da pupi dentro un sacco e diedero una
rappresentazione dell’opera (Falstaff) in quel teatrino
lillipuziano. "Si fecero le ore piccole — annota l’Abbiati
— e si consumarono due spallette all’uso di San Secondo.
Innaffiatissime come voleva la Giarrettiera". Ma ecco
una lettera ancora più dettagliata in merito al modo di
cucinare la spalla, tanto che ci pare perfino di sentire
la voce della consorte Giuseppina Strepponi, la Peppina,
dettare, essa cuciniera espertissima, e sorvegliante
delle donne di servizio e del cuoco medesimo. Siamo
nell’anno 1890, precisamente il 10 agosto, quando
scrivendo a Teresina Stolz e al "caro" Giulio Ricordi,
aggiunge la ricetta per cucinare le spallette alla
parmigiana. In periodo estivo le spalle non sono così
saporite come in primavera, ma comunque Verdi le ha
trovate o nella sua dispensa, dimenticate o le ha
comperate da qualche contadino del posto: "Allegata a
questa mia riceverete anche dalla Ferrovia due spallette
uso San Secondo, che noi mandiamo una per voi e l’altra
per la famiglia Ricordi. Scegliete quella che volete, ma
badate che per cuocere bene la spalletta bisogna:
1) Si mette in acqua tiepida per
circa dodici ore, onde levargli il sale;
2) Si mette dopo in altra acqua
fredda e si fa bollire a fuoco lento, onde non
scoppi, per circa tre ore e mezzo, e forse quattro
per la più grossa. Per sapere se la cottura è al
punto giusto, si fora la spalletta con un curedents
e se entra facilmente la spalletta è cotta;
3) Si lascia raffreddare nel suo
brodo e si serve. Guardate soprattutto alla cottura;
se è dura non è buona e se è troppo cotta diventa
asciutta e stopposa".
Quando Verdi scrive "spallette
all’uso di San Secondo" induce a pensare che in quel
caso si trattasse di spallette comperate a Busseto,
dove, nei suoi dintorni, se ne confezionano di molto
buone, o anche a lui regalate o portate come appendice
di contratto di mezzadria o di affitto dai contadini dei
suoi poderi. Naturalmente le spallette piacevano
moltissimo, e gli amici deliziati da tale saporito
piatto parmense, ricambiavano con regali, il più
possibile, degni di reggere al confronto delle
spallette. In questa occasione la Stolz e Giulio
Ricordi, uniti nel dono ricevuto si uniscono anche nel
dono di riconoscenza e spediscono una montagna di dolci.
(Estratto da F. Botti, “Verdi
insegnava a cuocerla” in “San secondo — Arte, storia,
attualità”)