Con riserva di mettere in rete, non appena possibile, un'immagine più leggibile,
registro nella nostra rassegna stampa la bella pagina da Antonio Battei, persona
che ho la fortuna di conoscere e stimare, illustre conoscitore della gastronomia
parmigiana e parmense.
Naturalmente mi ha molto interessato, per natali e deformazione professionale,
l'articolo sulla spalla di San Secondo, della quale proprio in questi giorni,
nel luogo di elezione, ricorrono i festeggiamenti. Mi ha in particolare colpito
l'affermazione che vuole la spalla messa a stagionare dopo la cottura, se questa
avviene precocemente, dopo un solo mese, per così dire, di vita. Questo, credo,
ieri come oggi, contraddice la stessa ricetta verdiana che viene di seguito,
nell'articolo, riportata.
Credo che la procedura della cottura precoce risalga a tempi molto recenti, dopo
che sì è cominciato a commercializzare il prodotto negli speciali involucri
sottovuoto.All'inizio dei tempi la cottura si rendeva molto più probabilmente
necessaria per salvaguardarne l'integrità e consentire ai contadini di non
perdere il frutto delle loro fatiche. Mi risulta, anche a memoria dei nostri
vecchi, che pure ci fosse stato qualche problema di reperimento della materia
prima in occasione della intitolazione della Fiera d'Agosto al tipico salume
sansecondino, e negli anni a seguire, cadendo la festa verso la fine
dell'estate, stagione molto pericolosa - quando lo si faceva con mezzi empirici
e naturali - per una corretta conservazione. Il rischio degli organizzatori era,
infatti,
quello di essere costretti a cuocere spalle tenute troppo ad aspettare e che
"sapevano di machetto" oppure di rovinarne qualcuna deliziosa cruda. Dopo,
ripeto, venne il sottovuoto, con buona pace di tutti.
Per quanto riguarda quella spalla cruda da non dimenticare, più che di Palasone,
io la definirei tipica di Zibello e Polesine. Ma questo è un altro discorso, che
ci porterebbe troppo lontano.