LETTERE - Libro I - 123

Con questa lettera, pubblicata per la prima volta a Venezia nel 1538 dal Marcolini quale editore del Libro I delle Lettere, Pietro Aretino intende ringraziare il Conte di San Secondo Pier Maria III de' Rossi per un dono semplice, ma gradito quale poteva essere un paio di maniche vaghe e di calze confezionati certamente dalla Contessa Camilla Gonzaga. E poi si può trovare una confessione del letterato al Conte - segno evidente di una confidenza sincera - in mertito ai guain d'amore che lo attanagliano. E neppure manca, in virtù dell'antico ricordo di Giovanni delle Bande Nere, la richiesta di raccomandazione presso il più potente cugino Cosino I de' Medici.

 

A

AL CONTE DI SAN SECONDO

 

Io ho ricevuto per mano di messer Girolamo Garimberto, mio più che fratello le calze e le maniche, vaghe come io le voleva. Veramente tutte le cose che escano da voi tengano ne la qualità loro de le bellezze del vostro animo. E credamisi pure che, ne l'età ch'io mi trovo, Amore fa di me ciò che non ardì fare in quella che già mi trovava; ma io l'ho caro, perché mentre sto nei miei trastulli non mi ricordo de la vecchiaia. Certo gli spassi dìamore sono i giardini de la vita, la quale tanto è giovane quanto di quegli si gode; e chi stesse innamorato del continuo, potria dire: "Io son visso sempre di 25 anni". Come si sia, di così nobil dono vi ringrazio, e al nome vostro debbo cotal debito; e avendo fino a qui indugiato  a farlo, ha ritardato la mano e non la volontà, bramosa di poter mostrarvi come siate sculto in mezzo de la vertù mia. Né ci son fraude ne le parole ch'io dico, anzi affezione e obligo; e così voglio e così debbo.  E aiutimi Iddio, come tengo per fermo che per me sia risuscitato l'immortal fratello de la vostra madre, poich'io sento d'esservi caro. Onde so che pigliarete la mia protezione con l'eccellenza di C osimo, del qual sete cugino, con dirle che faccia aspettare a chi comincia la servitù e non a chi la fornisce. Io cambio ormai il pelo, onde l'indugio mi è ingiuriam perché doppo i suoi dì niuno spera più. Ma se l'ha fatto l'imperadore, perché nol debbe fare chi regna col suo favore?

 Di Venezia, il 10 di maggio 1537.

Pietro Aretino

 

Ritorna all'indice dell'epistolario