LETTERE - Libro I - 315

 

Apologia dei Sonetti Lussuriosi.

 

 

A messer Battista Zatti da Brescia e cittadin romano

Da poi ch'io ottenni da Papa Clemente la libertà di Marcantonio bolognese, il quale era in pregione per aver intagliato in rame i XVI modi ecc., mi venne volontà di veder le figure, vìcagione che le querele Gibertine esclamavano che il buon vertuoso si crocifigesse, e vistele, fui tocco da lo spirito che mosse Giulio Romano a disegnarle.E perchè i poeti e gli scultori antichi e moderni soglion scrivere e scolpire alcuna volta per trastullo de l'ingegno cose lascive, come nel palazzo Chisio fa fede il satiro di marmo che tenta di violare un fanciullo, ci sciorinai sopra i sonetti che ci si veggono ai piedi. La cui lussuriosa memoria vi intitolo con pace degfi ipocriti, disperandomi del giudizio ladro e de la consuetudine porca che proibisce agli occhi quel che più gli diletta. Che male è il veder montare un uomo adosso a una donna? Adunque le bestie debbon essere più libere di noi? A me parrebbe che il cotale, datoci da la natura per conservazione di se stessa, si dovesse portare al collo come pendente e ne la beretta per medaglia, però che egli è la vena che scaturisce i fiumi de le genti e l'ambrosia che beve il mondo nei dì solenni. Egli ha fatto voi, che sete dei primi chirugici che vivano. Ha creato me, che son meglio che il pane. Ha prodotto i Bembi, i Molzi, i Fortuni, i Franchi, i Varchi, gli Ugolin Martelli, i Lorenzi Lenzi, i Dolci, i fra Bastiani, i Sansovini, i Tiziani, i Michelagnoli, e doppo loro i papi, gli imperadori e i re. Ha generato i bei putti, le bellissime donne con sante santorum. Onde se gli doverebbe ordinar ferie e sacrar vigilie e feste, e non rinchiuderlo in un poco di panno o di seta. Le mani starien bene ascose, perché quelle giuocano i danari, giurano il falso, prestano a usura, ti fan le fica, stracciano, tirano, dan de le pugna, feriscono e amazzano. Che vi par de la bocca, che bestemmia, sputa nel viso, divora, imbriaca e rece? Insomma i legisti si potrebben fare onore ne l'agiugnere una chiosa per suo conto ai libracci loro; e credo che lo faranno. Intanto considerate se io ho ritratto al naturale coi versi l'attitudini dei giostranti. E scrivendo al vostro Frosino, salutatelo a mio nome.

Di Venezia, l'11 di decembre 1537

Pietro Aretino

 

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