LETTERE - Libro II - 176

Messer Francesco Marcheschi, come si evince dalla lettera, è un cittadino, non meglio identificabile,  di Arezzo, certamente amico o fors'anche parente dello stesso Pietro Aretino.

 

 

A Messer Francesco Marcheschi

 

Che più bel testimonio potrei trovar circa il chiarirmi se il ben che mi volete è tale e quale mi credo che sia, che il vedere la pazienzia che voi, figliuol prudentissimo, avete nel continuo vostro scrivermi e nel mio mai non rispondervi? La qual cosa mi dee tanto più piacere  quanto meno cotal virtù è di natura degli aretini. Certo ch'io vi sono assai tenuto nel conto de la benivolenza: resta mo che io venga agli effetti col sodisfarvela con una di quelle cose che tosto vi faran confessare che non potreste mai vincermi ne la gara de lo amar gli amici come gli amo io. Risolvetevi pure che niuna vostra lettra mi è suta mandata indarno, se ben vi è parso che tutte sieno state invano. La fortuna, e non io, ha colpa di ciò che forse mi incolpate, ma sono io solo ne lo esser perversato da lei? Oltra di ciò, non appaio io, per Dio grazia, ancora vivo? Eccomi presto a voi, non senza consolazione di mia sorella e di Eugenia e di Lucrezia, legittime figliuole de la mia paterna affezione, le quali giovani saluterete in mio scambio. Intanto tenetemi pur per quel vostro che mi avete conosciuto sempre.
Di Venezia, il 27 di marzo 1540.

Pietro Aretino

 

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