Storie di Parma
di Pier Luigi Poldi Allaj

 

 

Nel numero di novembre 2003 di "Medioevo" (De Agostini Rizzoli Periodici) con una serie di articoli e finestrelle è pubblicato lo "Speciale Guelfi e Ghibellini - L'importanza di essere di parte".

L'articolo "Comune che vai fazioni che trovi" presenta "Il voltafaccia dei parmigiani" con un'analisi politica e storica della situazione di Parma delineante un quadro emozionalmente filoimperiale ed oggettivamente inficiante l'impresa voluta dalla maggior parte della popolazione, che altrimenti, da come si erano messe le cose, sarebbe stata inesorabilmente annientata e distrutta. Quando non si rispetta la "Storia" si corre il grosso rischio di contar "storie".

Cosa doveva fare, invece di allontanarsi "verso Piacenza", nel 1245 "quel gruppo non ingente di miles parmigiani [...] accusato di congiurare per uccidere Federico [...] mentre l'imperatore giungeva in città"? Farsi ammazzare oppure aspettare un momento migliore? Esponenti di "famiglie fedelissime all'impero, ma anche legate da rapporti di parentela con Innocenzo IV". Traditore lui stesso, Papa Innocenzo IV, di antica famiglia ghibellina, i Fieschi di Lavagna? Come se gli imparentamenti, da tempo acquisiti, e non solo a quei tempi e non solo a Parma, fossero serviti più alla conservazione della specie che a quella del patrimonio e del potere!

Una analisi ben più obiettiva la ritrovo negli atti della mostra "Federico II e l'Emilia Occidentale" (Rocca di San Secondo - Archivio di Stato di Parma, 1995): "Qualcosa cambiò invece nel 1243, quando Sinibaldo Fieschi, cognato di Bernardo [Rossi] venne eletto pontefice col nome di Innocenzo IV. L'anno successivo (1244) il nuovo papa, con politica rudemente nepotistica, fece in modo che in Parma venisse nominato vescovo Alberto Sanvitale, figlio di una sua sorella e quindi nipote anche di Bernardo di Rolando. Il favorevolissimo cortocircuito che si venne ad instaurare tra potere pontificio, vescovo parmense e Bernardo Rossi ebbe, in sede locale e in concomitanza con il generale peggioramento dei rapporti tra Federico II e Innocenzo IV, effetti dirompenti" (R. Greci, I Rossi, Parma e l'Imperatore, 1995). La posizione dei partigiani-parenti del papa è ben giustificata, o quanto meno umanamente comprensibile, se lo scopo finale è quello di "consolidare le proprie posizioni rispetto agli altri cavalieri cittadini"! Questo nel 1245, appunto.

Nella finestra espressamente riservata a "L'assedio di Parma", certamente a causa della ristrettezza dello spazio, non si fotografa in maniera circostanziata l'evolversi degli eventi, limitandosi a frammentarie quanto fantastiche affermazioni quali l'ipotetico trasferimento degli abitanti (superstiti?) a Vittoria dopo che si sarebbe portato a compimento "il progetto imperiale [...] di distruggere completamente Parma" e persino "cospargerla di sale".

Praticamente l'assedio di Parma inizia con il rientro dei fuorusciti del 1245: "Ben organizzati e forti di un cospicuo numero di armigeri, ed armati soprattutto di grande ardimento e di una ferrea volontà di riscossa, i Rossi, i Lupi, i Sanvitale, Giberto da Gente e tutti gli altri che erano stati espulsi, si radunarono sulla riva sinistra del fiume Taro, a Noceto. Ivi elessero a loro capitano Ugo Sanvitale, uomo di straordinario coraggio e di grande fiducia; e, ammesso e non concesso che ne avessero ancora bisogno, furono rinfuocati da un alato ed appassionato discorso pronunciato da Giberto da Gente; e, decisi oramai a tutto, si misero in marcia verso Parma: era il 16 Giugno 1247, domenica" (L. L. Ghirardini, Il più grande giorno di Parma, 1988). Immediatamente divampano gli scontri e in breve la sorte volge a favore dei fuorusciti che riguadagnano il controllo della città.

Informato dei fatti, anche Federico II ritorna frettolosamente, mentre già si trovava sulla strada per Lione: "Nel 1247 l'imperatore infiammato d'ira e fuor di sé venne a Parma e nel paese di Grola - nel quale ci sono moltissime vigne ed il vino viene buono - fece sorgere una città con vasti fossati attorno, che per di più, a presagio dei futuri eventi, chiamò Vittoria, e le monete coniatevi si chiamarono vittorini e la chiesa maggiore S. Vittorio. Siamo nel 1247" (D. Romagnoli, Federico II, Parma e Salimbene de Adam, 1995 [con citazione, in corsivo, dalla Cronaca di Salimbene]). 

C'è poi da dire che Salimbene de Adam, che scrive la sua Cronaca "una trentina di anni più tardi", dell'assedio di Parma "non ne è testimone oculare perché in quel momento si trova in Francia [...]. Salimbene s'era messo in viaggio il 16 giugno per Lione, dove era in corso il Concilio e dove arrivò il giorno di Ognissanti [del 1247]" (D. Romagnoli, Federico II, Parma e Salimbene de Adam, 1995).

L'epilogo dell'assedio, martedì 18 febbraio 1248, non è da imputarsi ad una "defezione" che, così come enunciata, appare subitanea ed improvvisa per quanto "lungamente preparata dal pontefice Innocenzo IV, di alcuni cavalieri parmigiani fedeli all'imperatore che, passati al fronte opposto, contribuirono a prendere il villaggio [piuttosto io direi città-accampamento, ma la sostanza proprio non cambia!] di Vittoria". Le origini della disfatta vanno ricercate nei mutati e irrimediabilmente compromessi rapporti fra papa ed imperatore, un papa ed un papato che, nonostante alterne vicende, riusciva a tenere alto il proprio nome e le proprie prerogative, certamente non sempre spirituali; un imperatore ed un impero di contro, nonostante fulgidi momenti di gloria, se non in una fase di profondo declino politico, almeno nella costante ed assillante ricerca di propri assetti istituzionali, senza poter disporre di paradisi e di inferni con i quali ammansire i "liberi" Comuni.


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L'ultima cosa, infine, che mi è per niente piaciuta - e, non lo nego, da questa osservazione traspare tutto il mio campanile sansecondino più che parmense - è stata la scelta iconografica di una tela del Tintoretto, per di più confinata a Monaco di Baviera. Bastava fermarsi nella terra di Parma dove, oltre a raccogliere dati di prima mano, si sarebbero potuti ammirare, come ancora oggi si possono, nella Sala delle Gesta Rossiane della Rocca a San Secondo, i giganteschi quadri-arazzo affrescati secondo Cirillo e Godi attorno al 1570,  rispettivamente da Giovan Antonio Paganino e da Giacomo Zanguidi detto il Bertoja, per ricordare ai contemporanei ed ai posteri l'inizio e la fine del grande assedio di Parma che vide primi attori Bernardo de' Rossi ed i figli Ugolino e Giacomo: l'uno per la battaglia di Borghetto del Taro vicino a Noceto, l'altro per la distruzione di Vittoria con nell'angolo, a destra in basso, Cortopasso che tiene tra le mani la corona imperiale!

 

                     
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