Un rogito del 1170 conferma che il prelibato salume ha avuto origine a San Secondo
"CONTESA" SULLA SPALLA
Palasone ne rivendicherebbe nome e primogenitura

  Pier Luigi Poldi Allaj  


Corre voce che nella Bassa Parmense si voglia confutare l'eponimo di quel prelibato salume, la famosa spalla, nota nei secoli come "di San Secondo", consumata per lo più cotta, eccezionale cruda, quando riesce a raggiungere una perfetta stagionatura. Disputa, invero, recente per un prodotto che vanta, nelle carte e nelle cantine, origini antichissime, come antichissimo è stato in quelle terre l'allevamento del maiale, animale conosciuto persino ai Galli e ai Romani che là abitarono e colonizzarono.

E neppure si farebbe torto a Giuseppe Verdi ed a quanti si permisero di usare l'appellativo "di San Secondo" anziché "di Palasone" - giacché questa è la contrada che rivendica - se giustamente venisse dimostrata la fondatezza dell'una tesi piuttosto che l'altra.

Tanto di cappello se sulla opposta sponda del Taro ci si è di recente ampiamente specializzati ed anche ci si sta attivamente adoprando per riconoscimenti ufficiali. Non di meno, nel suo piccolo, San Secondo ha visto la nascita di uno specifico laboratorio artigianale, ha curato l'inserimento negli elenchi nazionali dei prodotti agroalimentari tradizionali ("spalla di San Secondo, spalla cotta e spalla cruda, spala cota e crùda"), ha ottenuto il marchio "De.C.O.", senza dire della grande fiera d'agosto che dal 1957 di questa delizia del palato porta degnamente il nome.

Prescindendo dalla evoluzione del territorio, in epoca medievale e moderna, e ben sapendo che fatti e fasti recenti nulla possono valere a dirimere la questione, ho posto mano agli antichi documenti, consapevole che le date e gli atti solo comprovano la presenza e non l'inizio della produzione.

Correva l'anno di grazia 1170, il mese di febbraio, quando Puteolisius, "notarius sacri Palatii", veniva inviato nelle brumose terre della bassa valle del Taro - a Palasone, a Pizzo ed a San Secondo - per fare un inventario di quanto i contadini dovevano corrispondere, in natura e in soldi, a fronte della coltivazione delle terre, in quei tempi per la quasi totalità di proprietà dei Canonici della Cattedrale di Parma.

"Iuxta ecclesiam", molto probabilmente al termine della celebrazione della messa per caricare le cerimonie di un profondo significato simbolico, "in villa Sancti Secundi" per le terre poste "in curte Sancti Secundi" e "in Palacioni" per le terre "que sunt in curte Palacionis ed in Plebe Sancti Quilici", venivano stipulati veri e propri contratti.

Tra svariate "birocia" e numerose "carra lignorum", tra "fugacias" e "pullos", tra un "sextarium nucun" e una "scopam lini", magari con l'aggiunta di una "galinam ad carnevalario" e dieci "ova in pascha", più di una volta viene annotata la spalla ("spallam") o la spalletta ("spatulam"). A San Secondo come a Palasone.

I coloni di San Secondo dovevano corrispondere in salumi ogni anno quattro spalle e due spallette, con l'aggiunta di una ulteriore spalla ogni tre anni; quelli di Palasone e San Quirico - non è chiara la ripartizione esatta per le due località - annualmente sei spalle ed ancora quattro ogni quattro anni oltre ad un "denarium pro spalla".

Gli atti sono datati, rispettivamente, 8 febbraio da San Secondo e 11 febbraio da Palasone. Solo tre giorni di differenza, in mezzo ai quali il notaio Puteolisius si era recato - il 10 di febbraio - anche a Pizzo, dove peraltro non venne riscontrata nessuna spalla. E si può ben intuire la particolare solennità dei momenti della redazione del rogito di San Secondo, in giorno festivo, di domenica, di fronte al popolo uscito da messa, con i pubblici giuramenti di tutti gli interessati, come rimarca lo stesso notaio ("sub iuramentis ... sicut ab ipsis audivi et scripsi, quorum nomina hic leguntur"), diversamente da quanto avvenne a Pizzo, di martedi, ed a Palasone, di mercoledì, dove le dichiarazioni vennero prodotte da due delegati, nella fattispecie "Gerardus de Mola et Andrianus" e "Bonus Infans et Preatto".

Tre giorni prima ed un cerimoniale molto più solenne e complesso: quanto basta per attribuire una ideale palma di vittoria al centro rossiano e stabilire che la "spalla di San Secondo", con cognizione di causa, dai nostri avi è stata così battezzata. Sicuramente mentre la innaffiavano di soave fortanina!




L'articolo è stato pubblicato sulla GAZZETTA DI PARMA (Rubrica Tutta Parma) del 30 settembre 2003


Relazione storica  per la  presentazione  del marchio della "Spalla di San Secondo"

Le Pergamene della Spalla di San Secondo

VERDI INSEGNAVA A CUOCERLA


 Prodotti tipici

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